L’unità della Resistenza

In occasione dell’anniversario della Liberazione, pubblichiamo un’anteprima del manuale per il triennio della scuola secondaria di secondo grado, appena uscito per Editori Laterza (3 voll.), intitolato Trame del tempo e firmato da Caterina Ciccopiedi, Valentina Colombi, Carlo Greppi e Marco Meotto. Alla Resistenza italiana sono dedicati due capitoli del terzo volume, il cui autore è Carlo Greppi: Trame del tempo. Guerra e pace. Dal Novecento a oggi: i capitoli sono Lo spartiacque. L’Italia del 1943 e “Una cosa grande”. L’Italia occupata, la Resistenza, l’Italia liberata, del quale pubblichiamo questo ampio stralcio, corrispondente al primo e all’ultimo paragrafo.

di Carlo Greppi

“Una cosa grande”. L’Italia occupata, la Resistenza, l’Italia liberata

CHIAVE DI LETTURA

La Resistenza italiana nel giro di venti mesi, dal settembre del 1943 ai primi di maggio del 1945, contribuisce significativamente alla Liberazione del paese dall’occupante nazista e sconfigge così, dopo vent’anni, il fascismo. Se militarmente questo non sarebbe stato possibile senza l’avanzata alleata, che da sud a nord risale faticosamente la penisola, dall’altro il movimento partigiano è un fatto unico nella storia italiana, “una cosa grande”, come l’avrebbe definita l’antifascista Ferruccio Parri: oltre a essere una spina nel fianco per i nazifascisti precede gli stessi Alleati nella liberazione di 125 città.

Nella Resistenza confluiscono partigiani di diverse generazioni e da ogni parte del paese, anime politiche differenti, donne e uomini, italiani e stranieri. Così, mentre i nazisti e i fascisti scatenano una feroce guerra ai civili in tutta la penisola, un piccolo esercito interpartitico, intergenerazionale, di ogni ceto sociale e di ogni nazionalità dimostra che sulle ceneri del fascismo si può ricostruire una nuova società.

 

 

L’organizzazione e le anime della lotta partigiana

Un movimento spontaneo di giovani

L’Italia che ha dato i natali al fascismo, e che per tre anni è stata alleata di Hitler nella guerra mondiale, è uno degli ultimi paesi occupati dalla Germania nazista, ed è significativo che proprio sulla penisola sorga una consistente resistenza armata all’occupante e al fascismo di Salò.

Abbiamo lasciato la Resistenza italiana ai suoi esordi, con circa 10.000 aderenti alla fine del 1943, che diventano 30.000-40.000 a marzo del 1944. E abbiamo visto che a mano a mano che il numero dei partigiani si allarga si verifica un virtuoso incontro tra vecchi antifascisti e nuovi resistenti: i giovani sono in netta prevalenza renitenti alla leva di Salò. La Resistenza, nata spesso come scelta istintiva nei più giovani combattenti, si configura così come una formazione politica, per questi ragazzi, dopo vent’anni di dittatura fascista.

A notare la straordinarietà di una tale spontanea adesione alla causa antifascista, che si fa presto lotta organizzata, è Ferruccio Parri […]:

Un popolo che senza ordini, senza capi, fa la scelta d’insorgere, organizza una rete nazionale di comitati per la lotta politica, crea un’armata di combattenti che perde nella lotta un quarto dei suoi effettivi, precedendo gli eserciti alleati nella liberazione delle città, mantenendo sino allo scioglimento il carattere di insurrezione popolare e l’unità di forza nazionale: questa nella storia del nostro paese è una cosa grande.

 

La svolta di Salerno e il governo Bonomi

Il tentativo di unificare gli sforzi di tutti gli antifascisti contro il nazifascismo investe due piani paralleli e spesso intrecciati: quello politico e quello militare. Il primo riguarda l’operato dei partiti antifascisti del Cln e il loro rapporto con il governo Badoglio del Regno del Sud che ha il sostegno degli Alleati; il secondo la lotta armata, movimento anche spontaneo che va via via organizzandosi prendendo a riferimento proprio questi partiti. Ma i partiti del Cln (Pci, Pda, Psiup, Pdc, Pli, Dl) inizialmente faticano a trovare un accordo. Al di là delle continue frizioni perché le anime moderate del Cln guardano con sospetto alle mire rivoluzionarie di una parte dei combattenti comunisti, gioca un ruolo decisivo la “questione istituzionale”: i partiti del Cnl non sono cioè d’accordo sulla sorte del re e sulla stessa sopravvivenza dell’istituzione monarchica. In linea di massima per le forze meno radicali, come i liberali e i democristiani, ci si deve liberare del re per le sue connivenze con il regime, ma non dell’istituto monarchico; per comunisti, socialisti e azionisti, una volta scacciati i nazisti e sconfitti i fascisti, si deve invece instaurare un governo di tipo repubblicano.

Con l’intervento di Palmiro Togliatti, leader dei comunisti, si decide di concerto che è prioritaria la lotta per la liberazione dell’Italia e che la questione relativa all’assetto istituzionale verrà risolta solo alla fine della guerra: è la cosiddetta svolta di Salerno (aprile 1944), che prende nome dalla nuova capitale del Regno del Sud che, da Brindisi, è stata appunto trasferita nella città campana. Vittorio Emanuele III, compromesso con il fascismo, si fa da parte per delegare i suoi poteri al figlio Umberto; a giugno si dimette Badoglio e Ivanoe Bonomi, un liberale, prende le redini di un governo di unità nazionale composto dai partiti del Cln, con il beneplacito alleato. Con l’ingresso delle diverse anime del Cln nel governo dell’Italia liberata, l’azione dei partigiani nell’Italia settentrionale può essere diretta e organizzata in modo più efficiente.

Partigiani della Brigata Valle Stura “Carlo Rosselli” della 1ª Divisione Gl (Giustizia e Libertà) durante un tentativo di rientro in Italia dalla valle francese della Vésubie, Colle Fous, 3-4 aprile 1945 [Archivio Istoreto, per gentile concessione]

 

Partiti e brigate

Ma la vera direzione politica della lotta è al nord, dove chi orchestra le diverse anime del movimento partigiano è, da febbraio del 1944, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (Clnai), istituito a Milano. Lo compongono, in sostanza, le medesime formazioni politiche della sede centrale del Cln a Roma: comunisti, azionisti, socialisti, democristiani e liberali. Quanto agli effettivi combattenti inquadrati dai partiti, circa la metà di tutti i partigiani italiani combatte nelle Brigate Garibaldi, che si riconoscono per lo più nella linea politica del Partito comunista e sono comandate dall’antifascista di vecchio corso Luigi Longo, che era stato uno dei leader antifascisti in Spagna. Seguono le Brigate Giustizia e Libertà (del Pda) e le Brigate Matteotti (socialiste). Non è trascurabile, poi, la presenza di gruppi che fanno capo alle forze politiche «moderate» nella lotta di liberazione, e importante, a livello di contributo allo sforzo bellico, è la partecipazione degli autonomi, che rifiutano il comando o l’assimilazione ai partiti: quelle “autonome” sono formazioni per lo più composte da militari, sovente di orientamento monarchico. Pur non avendo un partito di riferimento e non essendo dunque rappresentati, anche molti anarchici partecipano alla lotta, unendosi a formazioni di altri “colori” o formando brigate anarchiche (in particolare in Toscana, in Liguria e in Lombardia). Ci sono casi di anarchici incaricati dal Clnai di organizzare formazioni partigiane, come quello di Emilio Canzi, «Comandante unico» nella XIII zona partigiana di Piacenza, in Emilia.

Lisetta Prosperina Vallet, partigiana in Valle d’Aosta, 1944

 

Ada Prospero Marchesini Gobetti

 

Le donne nella Resistenza

Per le donne, il dilemma tra la rivendicazione dell’eguaglianza e l’affermazione della diversità rispetto al genere maschile assume anche le vesti, in questi mesi, della scelta della lotta armata. Se da un lato il Partito comunista crea i «Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà», che inquadrano almeno 70.000 donne e danno un supporto cruciale alla Resistenza, questo essere “a servizio” della guerra degli uomini a molte donne non piace. Tra loro c’è Ada Prospero, vedova di Piero Gobetti, antifascista di lungo corso e donna dotata di grande abilità cospirativa, tra le figure più carismatiche della Resistenza in Piemonte. Per le donne la lotta antifascista è «il naturale e necessario anello di un’unica catena rappresentante la tenacia e la coerenza di una scelta di campo», come avrebbe scritto un’altra esponente della Resistenza, Bianca Guidetti Serra, riferendosi ai percorsi biografici di molte compagne. All’operato delle staffette – donne che trasportano armi, fogli clandestini e comunicazioni interne al partigianato – si affianca quello delle combattenti. Sono almeno 35.000 le donne che prendono le armi: non soggette ai bandi di leva come gli uomini, e dunque non “costrette” a scegliere, come hanno sottolineato le storiche Anna Bravo e Anna Maria Bruzzone le donne sono le vere volontarie di questa guerra di liberazione.

Molte verranno uccise: questo è il destino, ad esempio, della fiorentina Irma Marchiani che, catturata una prima volta, riesce a fuggire e a riprendere la lotta ma, nuovamente catturata dai tedeschi, viene condannata e assassinata. «Muoio sicura di aver fatto quanto mi era possibile affinché la libertà trionfasse», scrive alla sorella poco prima di essere fucilata.

 

Il carattere internazionale della lotta partigiana

La Resistenza italiana, che è interpartitica, intergenerazionale e accomuna uomini e donne di ogni ceto sociale, è anche internazionale: il giovane braccio destro di Ferruccio Parri ad esempio, che riesce a evadere da un treno diretto a Mauthausen, è olandese e si chiama Walter de Hoog, detto “Tulipano”. Lo storico Roberto Battaglia, nel suo Storia della Resistenza italiana, la prima grande narrazione della guerra partigiana uscita negli anni Cinquanta e aggiornata pochi anni più tardi, segnala non solo le migliaia di Alleati e di sovietici che si uniscono alla lotta, ma anche molti altri stranieri, e su tutti gli slavi, ed elementi di varie nazionalità arruolate più a meno a forza dalle forze armate tedesche, compresi molti disertori tedeschi, che appaiono «nelle file del movimento partigiano in quasi tutte le regioni del Nord»: si stima ora siano stati – fra tedeschi e austriaci – almeno duemila. Le vicende più note sono quelle del battaglione “Freies Deutschland”, nella “Zona d’operazioni Litorale Adriatico”, che inquadra decine di tedeschi e austriaci, e quella del caporalmaggiore della Kriegsmarine Rudolf Jacobs, di stanza a Lerici, unitosi alla Brigata garibaldina “Ugo Muccini” con un commilitone austriaco e morto poi eroicamente nel corso di un intrepido agguato ai fascisti a Sarzana, il 3 novembre del 1944. Tra i combattenti nati in Germania ce n’è un altro che diverrà particolarmente illustre, ma per altre ragioni: Heinz Riedt, futuro traduttore di Se questo è un uomo di Primo Levi, unitosi ai partigiani nel padovano.

Il carattere internazionale della lotta emerge chiaramente dalla composizione di una formazione partigiana della regione piemontese delle Langhe, chiamata Islafran, perché in essa lottano fianco a fianco italiani, slavi e francesi. La Resistenza italiana viene partecipata da oltre cinquanta nazionalità (compresi sudamericani e centroamericani): dagli albanesi ai greci, dai libici agli etiopi, dagli eritrei ai somali, persino chi è originario di questi territori martoriati dall’occupazione italiana contribuisce, in Italia, alla lotta per liberare il paese dai suoi oppressori. La vicenda più nota è quella di Giorgio Marincola, nato in Somalia da padre italiano che, dopo aver lottato assieme ai partigiani, è assassinato dai tedeschi nel maggio del 1945. Anche rom e sinti prendono parte alla lotta.

Alle “tre guerre” teorizzate da Claudio Pavone, sarebbe dunque da affiancarne una quarta, altrettanto cruciale: una guerra ideologica internazionale che percorre la storia della Resistenza, e non solo di quella italiana.

La guerra partigiana ha saputo, insomma, superare l’origine territoriale quanto le differenze politiche, sociali, anagrafiche.

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Seguono tre paragrafi (L’avanzata degli Alleati verso nord e la “grande estate partigiana”; La guerra nazifascista ai civili; Arriva l’inverno. Alleati e partigiani in difficoltà), nei quali si racconta tra le altre cose della nascita, a giugno del 1944, del Corpo volontari della libertà (Cvl), diretto da Raffaele Cadorna insieme a Ferruccio Parri e Luigi Longo, e della firma, a dicembre, dei Protocolli di Roma, con i quali gli Alleati di fatto riconoscono il Clnai come governo legittimo del nord.

Quello che segue è il paragrafo conclusivo del capitolo, dedicato alla Liberazione.

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La liberazione dell’Italia, la vittoria della Resistenza

L’insurrezione in Italia settentrionale e la resa tedesca

Gli ultimi mesi di lotta sono quelli più drammatici e allo stesso tempo più esaltanti. A febbraio del 1945 si verifica ad esempio, in Friuli, il più tragico episodio di scontro armato interno alla Resistenza – l’eccidio di Porzûs, in cui venti partigiani moderati e un ragazzino sono uccisi da altri partigiani, garibaldini, per via di rivalità politiche. Ma si tratta, in casi come questi, di eccezioni, in una situazione nella quale la spinta unitaria alla liberazione si fa di giorno in giorno più travolgente per i combattenti di ogni gruppo politico. Con la primavera in arrivo, ritornano i combattenti che si erano nascosti durante l’inverno e c’è un’ulteriore affluenza: ad aprile i partigiani sono di nuovo 130.000: cresceranno ancora, superando i 200.000 nelle ultime settimane di guerra. Il 21 aprile gli Alleati sfondano la Linea Gotica, e nelle prime ore di quel giorno è liberata Bologna senza sparare un colpo. Restano occupate solo le regioni più a nord della penisola italiana.

All’alba del 24 aprile il Comitato di liberazione nazionale ligure delibera l’insurrezione di Genova, dopo aver rifiutato di scendere a patti con il nemico:

Popolo genovese!
Con l’animo pieno di commozione, le tue nuove autorità
democratiche ti dicono: Sei libero.
Comportati in queste ore tanto gravi e solenni in modo che
tutto il mondo possa dire che tu sei degno di questa libertà.
Viva l’Italia democratica!
Cln Liguria

 

Circa tremila uomini delle Sap, puntando sull’effetto sorpresa, affrontano le forze nazifasciste di almeno quattro volte superiori. L’insurrezione di Genova, che infiamma anche gli altri due vertici del triangolo industriale, Torino e Milano, porta così l’Italia del nord a liberarsi da sola, prima dell’arrivo degli Alleati: il 25 aprile, mentre il Clnai proclama l’insurrezione a Milano, nel capoluogo ligure il generale tedesco Gunther Meinhold firma l’atto di resa di fronte all’operaio comunista Remo Scappini. È un caso eclatante nell’Europa occupata: un comando tedesco si arrende ufficialmente davanti a formazioni partigiane. Tra il 26 e il 28 aprile si libera anche Milano, e nell’ultimo mese di guerra, a partire da inizio aprile, i partigiani liberano 125 città. Il 25 aprile insurrezionale rimarrà la data che in Italia celebra la Liberazione.

 

 La morte di Mussolini

Nelle stesse ore in cui insorge l’Italia del nord, i vertici della Resistenza incontrano quelli della Repubblica sociale italiana a Milano, nel palazzo arcivescovile. E la parola d’ordine è «C’è poco da trattare: resa e consegna delle armi», come dice ai gerarchi fascisti il generale Cadorna, prima che questi, rendendosi conto che non c’è margine per un compromesso, lascino l’incontro.

Dopo un fallito tentativo di fuga in Svizzera camuffato da soldato tedesco, Mussolini è infine catturato e il 28 aprile viene giustiziato dai partigiani insieme ai suoi gerarchi. I loro cadaveri vengono esposti a Milano in piazzale Loreto il 29 aprile, nello stesso luogo […] in cui i fascisti avevano fatto scempio dei corpi di quindici partigiani, il 10 agosto del 1944. La folla milanese scatena la sua vendetta, accanendosi sui corpi senza vita dei leader del fascismo che, a questo punto, i partigiani issano e appendono a testa in giù alla pensilina di un distributore di benzina, sottraendoli alla furia popolare.

La scelta di giustiziare Mussolini e i gerarchi fascisti che non si sarebbero arresi era stata avallata dai vertici della Resistenza giorni prima, e i comandanti della guerra di liberazione – radicali e moderati – la rivendicheranno per il resto della loro vita come una scelta giusta. Con la morte del suo leader e di alcuni dei responsabili del ventennio fascista e della guerra, sulle macerie del conflitto l’Italia può ora tentare di rinascere. Ma […] non sarà affatto facile.

Christian Schiefer, La folla a Piazzale Loreto, 29 aprile 1945

 

Celebrare la vittoria partigiana

Viva i nostri morti: perché essi ci additano il cammino che ancora dobbiamo percorrere. Quando è venuta la vittoria a tutti è apparsa chiara la ragione della nostra lotta; allora si è appreso che l’immane sacrificio non era stato vano, che i caduti non erano morti invano, che non si era marcito invano nelle galere fasciste che erano anche galere regie. La vittoria ci ha procurato qualche cosa che è difficile dire, ha elevato la dignità personale a dignità nazionale ed ha provato, cosa più importante e capitale per noi, che essa è stata ottenuta non per congiure di corridoio ma è stata conquistata dal popolo, attraverso una sua guerra per la liberazione, una guerra di popolo che mi sembra, me lo confermino gli amici storici, la prima della nostra storia nazionale. E questo popolo risanato dà garanzia che saprà difendere un bene che è costato tanto sangue.

È il discorso tenuto a Roma, il 13 maggio 1945, da Ferruccio Parri. C’è grande commozione al teatro Eliseo, ad ascoltare questo che è forse il primo tentativo di “fare la storia” della Resistenza con un lungo e appassionato racconto a caldo dei venti mesi appena vissuti. Parri, che a breve sarà il primo Presidente del consiglio dell’Italia liberata, è arrivato nella capitale con Leo Valiani, come lui del Partito d’azione, con l’altro vicecomandante del Cvl, Longo, e con il loro comandante, Cadorna.

Nei decenni successivi gli storici avrebbero confermato quanto già affermato da Parri all’Eliseo: una partecipazione popolare volontaria così massiccia era la prima e sarebbe stata l’ultima della storia italiana.

I vertici della Resistenza hanno sfilato la settimana prima a Milano, coronando una vittoria che ha portato la Resistenza italiana alla Liberazione avendo alla sua testa un comando che rappresentava tutte le forze politiche protagoniste della lotta, cosa che non è accaduta in nessun altro paese europeo. In vista del comune obiettivo, nei venti mesi della guerra di liberazione anime diversissime avevano imparato a coesistere, realizzando quel miracolo organizzativo e politico che fu la Resistenza.

Il Comando generale del CVL sfila a Milano, 6 maggio 1945

 

Raccontare la Resistenza

Il generale Cadorna – nominato capo di Stato maggiore dell’esercito –, tiene anch’egli nel maggio, a Milano, un discorso sulla lotta partigiana ormai giunta al suo termine:

Il tempo eroico è ora trascorso. L’esercito partigiano si riunisce oggi per la sua grande celebrazione che prelude al suo scioglimento. Il cittadino partigiano, lieto del dovere compiuto, lascia il fucile per lo strumento di lavoro; con la sua arma ha cooperato a liberare la Patria, col suo lavoro intende ricostruirla. Ma se le formazioni si sciolgono, lo spirito partigiano non muore: esso guiderà la Patria verso i suoi nuovi destini.