Con la mostra sulle stragi nazifasciste riaperto il Sacrario delle Bandiere al Vittoriano

Foto Ufficio stampa Ministero della Difesa

Inaugurata all’Altare della Patria nella data simbolica dell’8 settembre, anniversario dell’Armistizio. Dagli eccidi dei militari italiani a quelli sulla popolazione civile. L’armadio della vergogna e i processi ai criminali nazisti ancora in vita. La mostra è aperta al pubblico con ingresso gratuito fino al 30 settembre

di Daniele De Paolis

È stata inaugurata in occasione della ricorrenza dell’8 settembre, a Roma, la mostra Nonostante il lungo tempo trascorso… Le stragi nazifasciste nella guerra di Liberazione 1943-1945. Lo scenario prescelto per l’esposizione, la prima in assoluto sul tema, è affascinante già di per sé: si tratta infatti delle sale e gallerie del Sacrario delle Bandiere delle Forze Armate al Vittoriano. La visita all’interno dell’Altare della Patria a Piazza Venezia è dunque di doppio interesse per la memoria di ogni persona che rifiuta il concetto stesso di guerra. Gli eccidi perpetrati dall’esercito tedesco – con la complicità e responsabilità dei fascisti – contro militari, partigiani e civili oltrepassano senza ripensamenti il limite ultimo tra umano e disumano. Visibile dall’interno alla fine del percorso espositivo, il Sacello del Milite Ignoto – di cui quest’anno ricorre il centenario della traslazione a Roma – costituisce, fra mille altre cose, anche il simbolo di quello che va perduto in ogni conflitto, cioè il valore superiore della vita umana.

Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, la mostra è stata organizzata dallo Stato Maggiore della Difesa e dalla Procura Generale Militare presso la Corte Militare di Appello, a cura del suo Procuratore Generale, Marco De Paolis. Il magistrato che ha istruito, a cinquant’anni dai fatti, i processi per giudicare i responsabili delle stragi ancora in vita, a seguito del rinvenimento del cosiddetto “armadio della vergogna” in cui erano stati insabbiati per cinquant’anni i fascicoli di indagine aperti nell’immediato dopoguerra, nel corso della cerimonia di inaugurazione ha spiegato che la frase che dà il titolo alla mostra fu la formula utilizzata per la frettolosa archiviazione dei procedimenti contro alcuni dei criminali responsabili e “ciò che allora rappresentò un occultamento illecito e una negazione di giustizia per tanti italiani familiari delle vittime, nonostante il lungo tempo trascorso… oggi significa non dimenticare e onorare quel sacrificio di sangue come un momento fondante della nostra Carta Costituzionale e del nostro Paese”.

All’evento inaugurale, dopo gli interventi di Edith Gabrielli, direttrice del complesso monumentale del Vittoriano e di Palazzo Venezia, e del generale Enzo Vecciarelli, Capo di Stato Maggiore della Difesa, ha preso la parola il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, evidenziando “la centralità del profilo giudiziario dei crimini avvenuti, alcuni impressi nella nostra memoria collettiva, altri poco noti, se non del tutto sconosciuti, molti addirittura volutamente occultati. Oggi sentiamo il dovere di accostarci a quella memoria per recuperare, difendere e diffondere la memoria di quanto accaduto affinché mai più la perdita di fiducia nei valori fondamentali del rispetto della vita e della libertà individuale, centro della cultura e della storia europea, conduca a tragedie simili”.

Nel salone all’ingresso del Sacrario delle Bandiere delle Forze Armate erano presenti, oltre a gran parte dei vertici militari, il Sottosegretario alla Difesa Stefania Pucciarelli, il Presidente della Commissione Difesa del Senato ed ex ministro Roberta Pinotti, l’Ambasciatore della Repubblica Federale di Germania in Italia Viktor Elbling, il Consigliere per la stampa e la comunicazione del Quirinale Giovanni Grasso, lo storico Paolo Pezzino, Presidente dell’Istituto Nazionale “Parri”, il giornalista Paolo Borrometi, Vicedirettore dell’AGI.

La mostra, al fine divulgativo di vicende complesse e drammatiche oggi troppo poco conosciute, in particolare tra le giovani generazioni, si avvale di pannelli grafici e fotografici, ai quali si aggiungono postazioni video interattive, mappe dei luoghi delle stragi in tutta Europa e l’esposizione di documenti, materiali storici e cimeli. Sei distinte sezioni guidano il visitatore, a partire dalla prima dedicata ai crimini di guerra commessi nei nostri confini e all’estero sui militari italiani dopo la data dell’Armistizio, l’8 settembre 1943 (senza trascurare quelli di cui si sono macchiati i militari italiani nel corso del secondo conflitto mondiale). Le schede informative riguardano oltre una dozzina di episodi (in particolare a Cefalonia, Corfù, Kos) su circa un centinaio che hanno causato nel complesso quasi 5.000 vittime, cui vanno aggiunti almeno 14.000 soldati annegati nell’affondamento di navi e 50.000 morti tra gli Internati Militari Italiani (IMI) nei campi di prigionia tedeschi.

La seconda sezione affronta i crimini sulla popolazione civile, al Sud, al Centro e al Nord della Penisola. Tristissima la storia per immagini ricostruita in questo caso, risalendo lo Stivale man mano che l’Italia veniva liberata: da Castiglione di Sicilia a Rizziconi e Barletta, da Matera e Rionero in Vulture fino a Napoli, a Caiazzo e a Bellona, a Roccaraso e Capistrello, dalle Fosse Ardeatine nella Capitale a Leonessa, da Vallucciole a Stia, a Civitella Val di Chiana, da Sant’Anna di Stazzema a Fivizzano, Padule di Fucecchio, Vinca, da Monte Sole e Marzabotto fino a Monchio, Susano e Costrignano, da Boves alla Benedicta. La storica Isabella Insolvibile, componente del Comitato scientifico della mostra presieduto da De Paolis – del quale hanno fatto parte anche la dottoressa Alessia Glielmi e il Ten. Col. Emilio Tirone, rispettivamente degli Uffici Storici dello Stato Maggiore della Difesa e dell’Esercito – ha sottolineato come “uno degli obiettivi dell’esposizione sia stato anche quello di contribuire alla corretta ricostruzione di una memoria collettiva delle comunità colpite dagli eccidi. Non è raro infatti che i ricordi delle persone, a Caiazzo come a Bellona, per fare solo degli esempi, attribuiscano la responsabilità dei massacri alle SS, che non erano presenti, invece che alla Wehrmacht. Esercito tedesco o esercito nazista? Nel corso della visita il Procuratore De Paolis ha illustrato “la copia di un documento firmato da Adolf Hitler con la nomina di Klaus Konrad, allora tenente del 274° Reggimento Fanteria ‘Grenadier’, a Commissario politico del reparto. E ogni reparto ne aveva uno”. Il 274° fu poi ritenuto responsabile della strage di San Polo del 14 luglio 1944, in Toscana, con almeno 54 vittime civili su un totale di 63 morti, tra cui alcuni partigiani.

La terza parte della visita riguarda l’amplissimo capitolo delle deportazioni, con la cronistoria delle date e degli eventi, le carte interattive dei principali luoghi di transito e internamento, e soprattutto con le immagini della prigionia di civili, oppositori politici ed ebrei. La sezione quattro illustra la storia dei processi ai responsabili dei crimini nazifascisti dal dopoguerra ad oggi: a partire da quelli portati avanti dagli Alleati, per proseguire con i procedimenti contro i criminali tedeschi istruiti in Italia, in due fasi: all’indomani della guerra e poi dal 1994 in avanti. Le ultime due sezioni della mostra conducono alle riflessioni su questa dolorosa pagina della nostra storia, anche attraverso alcuni docufilm proiettati a ciclo continuo.

In conclusione della visita inaugurale il professor Pezzino – qui anche in veste di consulente della mostra, oltre che componente del Comitato direttivo della Fondazione Corpo Volontari della Libertà e per l’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia (oggi Istituto Nazionale “Parri”) promotore del progetto Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, assieme all’allora Presidente dell’ANPI Carlo Smuraglia – ha affermato che “è stato giusto inaugurare la mostra proprio in coincidenza con l’anniversario dell’Armistizio perché, al contrario dell’immagine prevalsa per molti anni dell’8 settembre come vergogna e debolezza della nazione, va sottolineato come un esercito rimasto senza indicazioni chiare da parte dei suoi vertici, abbia poi trovato in sé stesso, in alcuni reparti, in alcuni ufficiali, in alcuni uomini, la capacità di resistere con tanti atti spontanei, oltre a quelli più noti come a Porta San Paolo e a Cefalonia. L’8 settembre non va visto come la morte dell’Italia, quanto come la nascita dell’impegno per una nuova Patria, che poi si protrarrà nei mesi successivi in maniera molto più organizzata. Ma sempre con la partecipazione di militari che, a quel punto, svestita la divisa, entreranno a far parte delle formazioni partigiane o creeranno essi stessi formazioni autonome”.

A partire dal 19 giugno 1944, i gruppi partigiani cui diedero vita i militari, insieme alle altre formazioni autonome, come quelle liberali, e agli esponenti di tutte le forze impegnate nella Resistenza (comunisti, azionisti, cattolici, socialisti), furono rappresentati nel Comando Generale del C.V.L. all’insegna dell’unità di intenti che consentì di restituire libertà e dignità al nostro Paese. Per la sua attività nella lotta contro l’occupazione nazifascista, il C.V.L. fu riconosciuto come “Corpo militare organizzato inquadrato nelle Forze armate dello Stato” (Legge 21/3/1958 n. 285). La sua bandiera – decorata con MOVM il 6 maggio 1945 a Milano, al termine della sfilata della Liberazione – con una solenne e partecipatissima cerimonia all’Altare della Patria, venne collocata nel Sacrario delle Bandiere fin dal 1958.

Proprio nelle sale in cui oggi è allestita la mostra sulle stragi. Dove però, al momento, non è visibile tra quelle esposte. Confidiamo che presto possa essere onorata come merita.