Dall’armistizio al 25 aprile, il contributo dell’Esercito Italiano alla Liberazione

Un’opera edita dall’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, ripercorre gli avvenimenti della Resistenza contro il nazifascismo che videro la rilevante partecipazione delle Forze Armate a fianco degli Alleati e delle formazioni partigiane. Quasi mezzo milione di effettivi e oltre 86 mila caduti: sono i dati che sintetizzano la presenza dei militari italiani nella Resistenza

In occasione dell’anniversario del 25 aprile 1945, l’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito ha voluto riproporre una trattazione sintetica e al contempo esaustiva degli avvenimenti che videro la partecipazione dell’Esercito nella Guerra di Liberazione. L’opera non consiste in una vera e propria elaborazione storica ma piuttosto in un resoconto scientifico, corredato da una ricca documentazione fotografica, del ruolo svolto dall’Esercito Italiano, in Patria e lontano dal territorio nazionale, per la liberazione dell’Italia, sia con i reparti regolari che affiancarono gli Alleati nelle azioni militari, sia con la costituzione, organizzazione e, spesso, guida delle formazioni partigiane impegnate nella lotta clandestina.

All’indomani dell’armistizio, a seguito dello sbandamento delle F.A. causato anche dalle modalità dell’armistizio stesso, si doveva procedere al riordinamento delle truppe presenti in Italia meridionale e a schierare al fronte quanti più reparti fosse possibile, nonostante lo stato di generale confusione, la mancanza di mezzi e la poca fiducia degli Alleati, che preferivano disporre di una massa di manovra da impiegare in compiti logistici e ausiliari piuttosto che di reparti combattenti che avrebbero potuto dare all’Italia una qualche voce in capitolo a guerra conclusa. Per assolvere questo delicato e difficile compito fu convocato il Maresciallo d’Italia Giovanni Messe, rientrato appositamente dalla prigionia (a seguito della cattura avvenuta in Tunisia il 12 maggio 1943 a Enfidaville), per assumere, con il parere favorevole degli Alleati ma con lo scarso gradimento del Maresciallo Pietro Badoglio, allora Presidente del Consiglio dei Ministri, l’incarico di Capo di Stato Maggiore Generale. L’incarico, protrattosi per un anno e mezzo, si presentava difficile e delicato. Messe, anche se con difficoltà, riuscì tuttavia a passare dall’esiguo “I Raggruppamento Motorizzato” del novembre 1943 al “Corpo Italiano di Liberazione”, forte, nella primavera del 1944, di 25.000 uomini, cui si sostituirono, nell’autunno dello stesso anno, sei Gruppi di Combattimento – equivalenti ad altrettante divisioni – cinque dei quali presero poi parte all’offensiva finale della campagna d’Italia. Difficoltà ugualmente rilevanti dovette affrontare sul fronte interno a cominciare dai problemi relativi all’epurazione degli ufficiali dell’Esercito compromessi con il passato regime, o responsabili della mancata reazione ai tedeschi dopo l’8 settembre. La situazione peggiorò con il governo Bonomi, data anche la presenza di nuove forze governative non favorevoli ai militari. Sotto la spinta dei partiti e dell’opinione pubblica, con l’avvicinarsi della fine del conflitto, fu più facile ridurre drasticamente il ruolo e il peso delle forze armate; fu ridimensionato, tra l’altro, il ruolo di Capo di Stato Maggiore Generale, rivestito da Messe, che venne riservato a generali di corpo d’armata o di grado inferiore. Messe, che aveva inizialmente avanzato riserve sulla bontà del provvedimento, accettò poi senza discussioni la sua cessazione dalla carica, a partire dal 1° maggio 1945.

La partecipazione di unità italiane alla liberazione del suolo patrio a fianco delle Armate anglo-americane è un capitolo di storia che onora altamente il nostro Esercito. Tale partecipazione, infatti, ha in sé implicazioni di carattere spirituale elevatissime. Essa indica, anzitutto, che i nostri soldati vollero concorrere direttamente alla liberazione della Penisola, anziché assistere inerti alla guerra condotta dagli alleati contro i tedeschi; ciò ha tanto più valore ove si consideri che ufficiali e gregari erano, generalmente, reduci da oltre tre anni di guerra sfortunata e sanguinosa, combattuta sui lontani fronti d’Europa e d’Africa. In secondo luogo, la partecipazione di nostre unità alla guerra contro i tedeschi sta a dimostrare che l’Esercito Italiano non si dissolse dopo i tragici fatti seguiti all’armistizio: molti comandi ed unità furono travolti, è vero, dall’aggressione germanica nelle terre d’oltremare e del nord-Italia, ma rimasero integri i Comandi e le Grandi Unità dell’Italia meridionale e delle Isole. Proprio queste ultime costituirono il serbatoio al quale attingere per costituire i primi reparti che, in forma progressivamente più consistente, parteciparono alla Guerra di Liberazione. In sostanza, quindi, quello della Guerra di Liberazione non fu un nuovo esercito, sorto dopo l’armistizio: fu l’Esercito Italiano di sempre che riuscì a dare un’ulteriore prova della propria vitalità, della propria fierezza, del proprio amor patrio, combattendo fianco a fianco con gli anglo-americani, in una nobile gara di sacrificio e di valore, sulle montagne appenniniche, lungo la costa adriatica, nella pianura padana. Ciò significa, in ultima analisi, che il nostro attuale Esercito può vantare un’ininterrotta tradizione dal primo Risorgimento – che diede all’Italia l’indipendenza e l’unità – alla Guerra di Liberazione, vero e proprio secondo Risorgimento, che diede alla nostra Nazione, a noi tutti, il bene supremo della libertà.

Non c’è, infatti, un solo momento e un solo aspetto della lotta di Liberazione ove non siano state presenti, col loro apporto insostituibile, unità dell’Esercito e più in generale delle Forze Armate o da esse provenienti. Non fu una presenza tardiva, sporadica ed episodica, ma immediata, costante e operante, una presenza consapevole, che si ispirava agli ideali del primo Risorgimento, una presenza devota agli interessi del Paese e perciò portata ovunque, semplicemente, come un normale dovere. Il riesame obiettivo e a mente fredda di quegli eventi conferma che l’Esercito può a buon diritto essere considerato tra i protagonisti della lotta di Liberazione, al pari delle formazioni partigiane, se non in misura anche maggiore. Il contributo dei reparti regolari dell’Esercito allo sforzo bellico alleato, che portò alla cacciata dei tedeschi dall’Italia, fu significativo non tanto in termini di forze combattenti quanto in quello del sostegno logistico fornito da decine di migliaia di soldati addetti ai rifornimenti e a lavori nelle retrovie alleate. Fondamentale, inoltre, fu l’apporto dei singoli militari alla costituzione e allo sviluppo delle formazioni partigiane, contribuendo con la loro esperienza operativa, spesso collaudata in lunghi mesi di permanenza al fronte, a elevare la conoscenza tecnico-militare degli insorti sia sotto l’aspetto dell’uso e maneggio di armi ed esplosivi sia nel campo dell’impiego tattico dei reparti. Nel territorio nazionale, nei Balcani e in Francia, primi a darsi alla montagna per sottrarsi al disarmo e alla cattura, gruppi di militari e singoli ufficiali, sottufficiali e soldati costituirono

con altri patrioti formazioni partigiane o entrarono a far parte di quelle sorte per iniziativa di comitati locali. L’apporto degli uomini dell’Esercito nelle formazioni del Corpo Volontari della Libertà e quello dell’organizzazione di missioni e di aviolanci promossa e curata dallo Stato Maggiore Generale, furono validissimi e contribuirono tangibilmente alla condotta di quella lotta partigiana che – dal settembre 1943 all’insurrezione generale dell’aprile 1945, in montagna, in pianura, nelle città – costituì un’attiva e costante spina nel fianco delle forze nazi-fasciste, agevolando in concreto il grandioso sforzo alleato per la liberazione del nostro Paese.

I dati statistici ufficiali, resi noti dalla Commissione Italiana di Storia Militare al Senato della Repubblica nel giugno 1998, sul contributo delle Forze Armate alla Guerra di Liberazione fanno riferimento a una forza media di 442.000 / 452.000 uomini alle armi, Carabinieri Reali e Guardie di Finanza esclusi. Si stimano, inoltre, in almeno 80.000 i militari che aderirono ad unità partigiane, mentre il numero dei militari caduti o dispersi, compresi quelli periti nei campi di internamento, è valutato in circa 86.600. Dopo l’8 settembre 1943 caddero almeno 31 generali dell’Esercito, fucilati dai tedeschi o morti di stenti e malattia in prigionia. I militari catturati dopo l’armistizio e inviati nei campi di internamento del Terzo Reich e dei loro alleati furono circa 720.000, dei quali 617.000 in Germania. I fatti salienti che in 19 mesi di lotta hanno segnato l’arduo e cruento cammino delle unità dell’Esercito e dei loro uomini verso la vittoria sui tedeschi e la conquista della libertà, possono essere riuniti in 5 fasi o tipologie di attività:

– reazioni opposte dall’Esercito alle intimazioni e aggressioni tedesche subito dopo la proclamazione dell’armistizio, nel territorio metropolitano e all’estero.

In Italia, la principale opposizione ai tedeschi si ebbe nella difesa di Roma, dove erano concentrate le migliori Grandi Unità del Regio Esercito. Resistenze isolate, ma non per questo meno determinate, si registrarono in molte altre zone del territorio nazionale, come a Livorno, Bari, Nola, Parma, Tarvisio, Gorizia, Udine, Passo della Futa, ecc. In questi combattimenti, ai militari dell’Esercito si unirono spesso volontariamente le popolazioni locali, come nel caso delle quattro giornate di Napoli. In Corsica l’azione delle truppe italiane, in cooperazione con le forze della Francia Libera, fu decisiva per obbligare i tedeschi ad abbandonare l’isola. In Albania, in Grecia e in Jugoslavia intere divisioni preferirono unirsi alle locali formazioni partigiane, piuttosto che farsi deportare in Germania. Nelle isole del Dodecaneso, e in special modo a Lero e a Coo, migliaia di militari italiani si affiancarono alle truppe britanniche nella lotta contro le forze tedesche che avevano tentato uno sbarco. A Cefalonia e a Corfù gli italiani della Divisione “Acqui” scesero da soli direttamente in campo, opponendo una strenua resistenza e subendo una tragica e vile rappresaglia. Centinaia di ufficiali del Regio Esercito presi prigionieri furono fucilati anche in vari territori della Dalmazia e dell’Albania.

– Partecipazione di unità dell’esercito alla guerra in Italia a fianco delle armate alleate e impiego di unità ausiliarie e di sicurezza interna italiane a favore degli anglo-americani.

Già nel settembre 1943 il cosiddetto “Esercito del Sud” costituì il I Raggruppamento Motorizzato, grande unità a livello di brigata, che si distinse, a fianco degli Statunitensi, nelle due battaglie di Montelungo del dicembre successivo. Nel 1944 il Raggruppamento si trasformò in Corpo Italiano di Liberazione (CIL), avente la forza di un corpo d’armata, che combatté nel centro Italia inquadrato nell’8ª Armata britannica. A fine di quell’anno il CIL diede vita a 6 Gruppi di Combattimento, armati ed equipaggiati dai Britannici, che parteciparono agli ultimi combattimenti sulla linea Gotica e alla liberazione di varie città dell’Italia del nord come Bologna e Venezia. Tra le forze regolari che combatterono contro i tedeschi occorre ricordare i paracadutisti dello Squadrone da ricognizione “F” che insieme a quelli della “Nembo” svolsero il 20 aprile un aviolancio dietro le linee nemiche. Quasi 200 mila uomini, poi, operarono in uniforme, ma senza armi, nel sostegno logistico delle truppe alleate in Italia ed in Francia, inquadrati in 8 divisioni e decine di reparti minori.

– Partecipazione alle azioni della resistenza con le formazioni partigiane e la collaborazione di queste con le Forze Armale regolari.

Migliaia furono i militari che a gruppi o isolatamente si unirono alle bande partigiane che operavano sul territorio nazionale o che contribuirono alla loro costituzione, divenendone in qualche caso anche comandanti. Tra le formazioni partigiane regolari si distinsero, in particolar modo, le Brigate “Majella” e “Mario Gordini” che furono aggregate all’Esercito britannico, meritando decorazioni al Valor Militare. Nel 1945 tutto il movimento partigiano, incluse le brigate Garibaldi di orientamento comunista, confluì nel Corpo Volontari della Libertà (CVL), unità regolare posta sotto il comando del Generale Raffaele Cadorna. Dopo la guerra, con legge 21 marzo 1958, n. 285, il CVL ottenne il riconoscimento giuridico a tutti gli effetti di Corpo militare regolamentare inquadrato nelle Forze Armate italiane. Essenziale per l’operatività del movimento partigiano risultò l’apporto militare del Servizio Informazioni Militare con decine di propri agenti che favorirono i collegamenti con gli alleati e gli aviolanci di rifornimenti di armi, munizioni, vestiario e viveri.

– Resistenza degli internati militari nei campi di prigionia tedeschi.

I militari italiani catturati dai tedeschi nelle fasi immediatamente successive all’armistizio dell’8 settembre furono costretti a diventare lavoratori coatti per il Terzo Reich. Solo il 10% di essi accettò di entrare a far parte della Repubblica Sociale Italiana e ottenere così il permesso a rimpatriare. La massa preferì gli stenti e le privazioni della prigionia che la collaborazione coi nazi-fascisti.

– Contributo di manodopera dei militari prigionieri degli americani, inglesi, francesi e russi allo sforzo bellico delle Nazioni Unite.

Centinaia di migliaia di prigionieri catturati nelle operazioni prima dell’armistizio, soprattutto in Africa settentrionale e orientale, in Russia e in Sicilia, accettarono volontariamente di collaborare con gli alleati, dopo la costituzione del Regno del Sud, prestando il proprio lavoro nei campi e nelle industrie alla macchina bellica che si contrapponeva a Germania e Giappone.

Oggi come non mai è forte la responsabilità di riportare l’attenzione del Paese, soprattutto delle giovani generazioni, sui momenti fondanti della nostra Nazione. La Guerra di Liberazione fu uno di quelli, fu un momento di aggregazione nazionale intorno al ricostituito Esercito contro il nemico comune che coinvolse italiani di età e estrazioni diverse. Riflettere sul sacrificio di tutti coloro che combatterono per la libertà dell’Italia dovrà contribuire, con l’insegnamento del passato, ad agire per migliorare il futuro.

Lo stesso principio anima oggi i nostri soldati che nel ricordo del passato trovano lo stimolo a sempre meglio operare per il bene del Paese, testimoniando ancora una volta la totale adesione dell’Esercito allo spirito democratico della Costituzione, nata dalla Guerra di Liberazione.